La crisi della finanza e dei bilanci pubblici non trova risposte adeguate. I governi di tutto il mondo, ormai da anni, cercano di contrastare gli effetti della crisi con interventi che si rivelano provvisori ed insufficienti.
Si impone con sempre maggiore drammaticità ed urgenza la domanda: che fare? per la disoccupazione, per il debito pubblico, per i tassi di interesse, per il sistema bancario, per lo sviluppo,… le grandi questioni sul tappeto rimangono prive di risposta e i vertici internazionali sono sempre più simili a delle confessioni di impotenza.
Le strette fiscali falliscono già all’indomani della loro emissione e portano con sé disoccupazione e miseria crescente. Un prezzo sociale ed umano troppo alto. Con questo lavoro si forniscono le prime indicazioni articolate, concrete e specifiche per un cambio di direzione della politica economica.
Le tecniche innovative proposte dall’autore sono in realtà delle riletture di politiche già esistenti e quindi ampiamente sperimentate.
In questa prospettazione la riscoperta della centralità dell’uomo nell'economia non è più solo un sogno, un obiettivo lontano, quasi irraggiungibile, chimerico, ma lo strumento concreto per invertire la tendenza. Da subito.
Le proposte contenute in questo lavoro sono pensate per essere introdotte immediatamente nelle economie con maggiori difficoltà come il sud d’Italia e dell’Europa. Ma sono di natura sistemica e quindi sarà utile poi utilizzarle anche nelle economie più floride. L’alternativa a queste proposte è quella di insistere con la politica attuale che, dilatando lo spazio occupato dallo Stato, non produce sviluppo spontaneo e riduce le libertà individuali. La dilatazione dello spazio occupato dallo Stato con più tasse, più doveri e meno libertà, da un lato rende l’economia sempre più dipendente dalla discrezione dell’oligarchia al potere – e quindi dalla sua fallibilità – dall’altro rende l’intera impalcatura sempre meno democratica e più fragile…
Quindi il nostro futuro per essere democratico deve risiedere nel rinnovo dell’attuale sistema; ci serve un modello di sviluppo che, all’occorrenza e spontaneamente, si corregga e, sempre spontaneamente, promuova nuova crescita. Una nuova crescita che sia diffusa, quindi plurale, e non assistita.
Senza la crescita diffusa e la relativa democrazia in economia non avremo democrazia in politica. Senza democrazia tutto il sistema che chiamiamo Occidente finisce per lasciare il posto a qualcosa d’altro, di oscuro e terribile, al cui confronto l’attuale Grande Crisi è solo la porta d’entrata.
Si impone con sempre maggiore drammaticità ed urgenza la domanda: che fare? per la disoccupazione, per il debito pubblico, per i tassi di interesse, per il sistema bancario, per lo sviluppo,… le grandi questioni sul tappeto rimangono prive di risposta e i vertici internazionali sono sempre più simili a delle confessioni di impotenza.
Le strette fiscali falliscono già all’indomani della loro emissione e portano con sé disoccupazione e miseria crescente. Un prezzo sociale ed umano troppo alto. Con questo lavoro si forniscono le prime indicazioni articolate, concrete e specifiche per un cambio di direzione della politica economica.
Le tecniche innovative proposte dall’autore sono in realtà delle riletture di politiche già esistenti e quindi ampiamente sperimentate.
In questa prospettazione la riscoperta della centralità dell’uomo nell'economia non è più solo un sogno, un obiettivo lontano, quasi irraggiungibile, chimerico, ma lo strumento concreto per invertire la tendenza. Da subito.
Le proposte contenute in questo lavoro sono pensate per essere introdotte immediatamente nelle economie con maggiori difficoltà come il sud d’Italia e dell’Europa. Ma sono di natura sistemica e quindi sarà utile poi utilizzarle anche nelle economie più floride. L’alternativa a queste proposte è quella di insistere con la politica attuale che, dilatando lo spazio occupato dallo Stato, non produce sviluppo spontaneo e riduce le libertà individuali. La dilatazione dello spazio occupato dallo Stato con più tasse, più doveri e meno libertà, da un lato rende l’economia sempre più dipendente dalla discrezione dell’oligarchia al potere – e quindi dalla sua fallibilità – dall’altro rende l’intera impalcatura sempre meno democratica e più fragile…
Quindi il nostro futuro per essere democratico deve risiedere nel rinnovo dell’attuale sistema; ci serve un modello di sviluppo che, all’occorrenza e spontaneamente, si corregga e, sempre spontaneamente, promuova nuova crescita. Una nuova crescita che sia diffusa, quindi plurale, e non assistita.
Senza la crescita diffusa e la relativa democrazia in economia non avremo democrazia in politica. Senza democrazia tutto il sistema che chiamiamo Occidente finisce per lasciare il posto a qualcosa d’altro, di oscuro e terribile, al cui confronto l’attuale Grande Crisi è solo la porta d’entrata.