Nella mente di Pietro Bagnoli rimarrà impressa per sempre quella mattina del luglio 2009, quando un avviso di garanzia è caduto come un fulmine sulla sua vita, fatta di lunghe ore in sala operatoria, turni in reparto, studio dei tumori dell'addome. Quel foglio lo proietta in un mondo a lui estraneo, fatto di procedure astruse, perizie e interrogatori che tentano di tradurre nei termini della certezza giuridica uno sfortunato caso clinico e una tragedia umana: la morte di una ragazza operata di un brutto cancro allo stomaco. Un intervento difficile, in cui le complicazioni sono frequenti: la giovane non le ha superate, e per i famigliari la colpa è dei chirurghi. Sui giornali l'intera équipe è additata come responsabile dell'ennesimo episodio di malasanità. Ci vorranno quattro anni per arrivare all'assoluzione «perché il fatto non sussiste». Delle oltre trentamila cause intentate ogni anno in Italia, solo una piccola percentuale accerta una colpa effettiva del medico. Ma il fenomeno ha pesanti conseguenze: mentre i «camici» si tutelano dal rischio di denunce prescrivendo esami, farmaci e ricoveri inutili, i conti della sanità vanno in tilt e i «pigiami» rimangono ostaggio di liste d'attesa troppo lunghe, che ritardano le cure. Medici e istituti sanitari pagano alle assicurazioni premi sempre più alti, e intanto studi legali spregiudicati inseguono i pazienti allettandoli con promesse di risarcimenti milionari. In questo racconto, che trascina il lettore nella quotidianità ospedaliera, l'autore ripercorre la sua vicenda processuale per mostrare i pericoli della medicina difensiva, un sistema distorto che danneggia tutti. E per ribadire con forza che la soluzione ai problemi della sanità non si trova nelle aule dei tribunali, ma in quel patto di responsabilità e fiducia fra medico e paziente che sta alla base del rapporto di cura.
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