Giovanni Lucchi non aveva nulla di ordinario. Come il suo mestiere. Era uno degli archettai più famosi al mondo, fabbricava archetti per strumenti a corda che hanno suonato tra le mani dei più grandi musicisti contemporanei.
Elegante, un po’ sornione, serio e giocoso al tempo stesso, viveva concentrato nel suo laboratorio ma sempre aperto sul mondo, teso a coglierne ogni più piccola vibrazione. Conoscerlo, nell’esatto momento in cui si era deciso a raccontare la sua storia, è stata un’esperienza unica. Il foulard al collo, gli occhi accesi, il ritmo tra le dita, ci ha affidato i suoi trionfi e le sue debolezze, i suoi esperimenti e le sue cadute, il suo metodo e le sue speranze.
Un'autobiografia che cerca di mettere un po’ – non troppo – d’ordine tra i suoi ricordi. Da quando, bambino, saliva sullo sgabello per affrontare il contrabbasso, molto più alto di lui, a quando ha escogitato un metodo empirico per misurare la trasmissibilità del legno, da quando suonava con gli amici su e giù per la riviera romagnola a quando si è guadagnato la fiducia di Rostropovich, realizzando per lui un archetto elastico e balzante come la sua intelligenza, come la sua passione.
Giovanni Lucchi, archettaio, nato a Cesena nel 1942, è morto a Cremona all’improvviso, nell’agosto 2012, poco dopo aver scritto questa breve e intensa autobiografia. Racchiusi tra le pagine troviamo i suoi ricordi, i suoi principi, i suoi progetti, che oggi diventano la sua eredità. Un tesoro prezioso per continuare sulla strada che ha tracciato con intelligenza, con creatività, con grande passione.
Elegante, un po’ sornione, serio e giocoso al tempo stesso, viveva concentrato nel suo laboratorio ma sempre aperto sul mondo, teso a coglierne ogni più piccola vibrazione. Conoscerlo, nell’esatto momento in cui si era deciso a raccontare la sua storia, è stata un’esperienza unica. Il foulard al collo, gli occhi accesi, il ritmo tra le dita, ci ha affidato i suoi trionfi e le sue debolezze, i suoi esperimenti e le sue cadute, il suo metodo e le sue speranze.
Un'autobiografia che cerca di mettere un po’ – non troppo – d’ordine tra i suoi ricordi. Da quando, bambino, saliva sullo sgabello per affrontare il contrabbasso, molto più alto di lui, a quando ha escogitato un metodo empirico per misurare la trasmissibilità del legno, da quando suonava con gli amici su e giù per la riviera romagnola a quando si è guadagnato la fiducia di Rostropovich, realizzando per lui un archetto elastico e balzante come la sua intelligenza, come la sua passione.
Giovanni Lucchi, archettaio, nato a Cesena nel 1942, è morto a Cremona all’improvviso, nell’agosto 2012, poco dopo aver scritto questa breve e intensa autobiografia. Racchiusi tra le pagine troviamo i suoi ricordi, i suoi principi, i suoi progetti, che oggi diventano la sua eredità. Un tesoro prezioso per continuare sulla strada che ha tracciato con intelligenza, con creatività, con grande passione.