Il rugby è lo sport di squadra per eccellenza. C’è bisogno del sostegno di quindici uomini, non ci sono comparse ma solo protagonisti. Il rugby è lo specchio di una società civile ideale: ognuno ha il proprio ruolo e agisce per il bene di tutti, ognuno è indispensabile e fa avanzare la palla di qualche metro, arriva fin dove può per poi passarla al compagno chiamato a fare lo stesso. E così via, centimetro dopo centimetro, fino a raggiungere la meta.
“Nel nome del rugby” è un viaggio intenso, fatto di ricordi ed emozioni, paura e coraggio, velocità e poche fermate per riprendere fiato. Per raccontare i sogni di un bambino e gli obiettivi di un campione, il rugby e le sue (insolite) ragioni del cuore, ricercando l’origine e la bellezza furiosa di una passione di famiglia.
In questo libro di rugby e di sentimenti, di padri e di figli, un rugbista professionista e una giornalista, entrambi padovani e “figli d’arte”, s’incontrano per un dialogo profondo a bordo campo, con una palla ovale in mano e lo sguardo puntato verso la meta.
“Ammiro Mauro per il suo comportamento. La sua espressione sul terreno di gioco è emblematica della sua generosità, del suo coraggio, della sua abnegazione, del dono di sé, della sua solidarietà, della sua rudezza e della sua intelligenza”. (Georges Coste)
“Mauro ha sempre giocato a rugby con estrema naturalezza. Lo dico uscendo, per un attimo, dal ruolo di padre e rientrando in quello di allenatore. Poi, col tempo, ha acquisito anche il pieno coraggio. A quel punto è diventato completo. Se il talento è innato, il coraggio si conquista. Ha lavorato tanto su di sé, si è impegnato e perfezionato con gli anni, ha superato le paure. Ricordo ancora quella volta che, giovanissimo, tentando un placcaggio, si prese un tacchetto in faccia. Da quel momento, osservandolo in campo, notai che non placcava più con disinvoltura, tendeva a trattenersi. Così, un giorno, lo presi da parte: «Non possiamo andare avanti così. – gli dissi – O placchi o lasciamo proprio perdere»; nessun tono minaccioso, solo un dato di fatto. «Papà, ma a te è mai capitato? Ho preso una bella botta, ora cerco semplicemente di fare attenzione». «Ok, hai ragione. Ma, vedi, il punto è che nel rugby bisogna placcare, qualsiasi cosa accada. Se non placchi, non giochi a rugby. È molto semplice, non c’è altro da dire». Da quel giorno ricominciò a placcare, senza timore. Queste sono le regole del nostro gioco”. (Arturo Bergamasco)
Con il patrocinio della Federazione Italiana Rugby (FIR) e di Campus Rugby.
“Nel nome del rugby” è un viaggio intenso, fatto di ricordi ed emozioni, paura e coraggio, velocità e poche fermate per riprendere fiato. Per raccontare i sogni di un bambino e gli obiettivi di un campione, il rugby e le sue (insolite) ragioni del cuore, ricercando l’origine e la bellezza furiosa di una passione di famiglia.
In questo libro di rugby e di sentimenti, di padri e di figli, un rugbista professionista e una giornalista, entrambi padovani e “figli d’arte”, s’incontrano per un dialogo profondo a bordo campo, con una palla ovale in mano e lo sguardo puntato verso la meta.
“Ammiro Mauro per il suo comportamento. La sua espressione sul terreno di gioco è emblematica della sua generosità, del suo coraggio, della sua abnegazione, del dono di sé, della sua solidarietà, della sua rudezza e della sua intelligenza”. (Georges Coste)
“Mauro ha sempre giocato a rugby con estrema naturalezza. Lo dico uscendo, per un attimo, dal ruolo di padre e rientrando in quello di allenatore. Poi, col tempo, ha acquisito anche il pieno coraggio. A quel punto è diventato completo. Se il talento è innato, il coraggio si conquista. Ha lavorato tanto su di sé, si è impegnato e perfezionato con gli anni, ha superato le paure. Ricordo ancora quella volta che, giovanissimo, tentando un placcaggio, si prese un tacchetto in faccia. Da quel momento, osservandolo in campo, notai che non placcava più con disinvoltura, tendeva a trattenersi. Così, un giorno, lo presi da parte: «Non possiamo andare avanti così. – gli dissi – O placchi o lasciamo proprio perdere»; nessun tono minaccioso, solo un dato di fatto. «Papà, ma a te è mai capitato? Ho preso una bella botta, ora cerco semplicemente di fare attenzione». «Ok, hai ragione. Ma, vedi, il punto è che nel rugby bisogna placcare, qualsiasi cosa accada. Se non placchi, non giochi a rugby. È molto semplice, non c’è altro da dire». Da quel giorno ricominciò a placcare, senza timore. Queste sono le regole del nostro gioco”. (Arturo Bergamasco)
Con il patrocinio della Federazione Italiana Rugby (FIR) e di Campus Rugby.