La trippa è un piatto umile e antico, popolare e universale, si presta e si è prestato in ogni luogo e in ogni tempo , per le sue caratteristiche intrinseche, ai più fantasiosi esercizi di culinaria, ai più ingegnosi abbinamenti e impieghi di materiali.
In questo lavoro mi limiterò alle ricette di trippa del nostro paese, persino di trippa di pesce, e di frattaglie in genere, e già c’è veramente da sbizzarrirsi, che ogni regione, ogni città e perfino ogni più piccola località hanno prodotto fin dai tempi più remoti una loro ricetta, proposto la loro versione, e molte di queste si sono perpetuate nel tempo fino ai giorni nostri con poche varianti.
Non vi racconteremo di conseguenza, di una cucina aulica di corte, di una cucina signorile o borghese, ma di una cucina povera e popolare, a testimonianza dell’ingegno e dell’arte di arrangiarsi dei nostri rustici antenati. Non sembri cosa biasimevole; chi, volgendo lo sguardo all’indietro di un paio di generazioni, può giurare di non aver avuto fra i suoi ascendenti dei villici, degli eroici lavoratori della terra? Questo è il nostro retaggio, questo è il nostro orgoglio, e chi invece discende da schiatte illustri non ce ne voglia, fa lo stesso. Illustre e nobile non avrebbe potuto essere, senza di noi poveri plebei a fargli da opposto.
E’ possibile che questo discorso sulla trippa e sulle interiora appaia un po’ truce, di questi tempi di sensibilità vegetariane o addirittura vegane, tuttavia l’umanità si ciba di carni, frattaglie comprese, da millenni, ed è stato con ogni probabilità proprio questo consumo proteico e vitaminico, e pure altamente calorico, a consentirle di sopravvivere e progredire. Non è forse vero d’altro canto che Dio nella Bibbia ci ha dato in signoria piante e animali e la natura stessa, affinché potessimo servircene e nutrirci? Ci sono, è vero, religioni e filosofie meno antropocentriche e più “ verdi” di quella cristiana, anche se , assolte le incombenze della nutrizione, non manca in essa un profondo rispetto per la natura vista come opera divina. Verranno tempi vegani? C’è da augurarselo.
In questo lavoro mi limiterò alle ricette di trippa del nostro paese, persino di trippa di pesce, e di frattaglie in genere, e già c’è veramente da sbizzarrirsi, che ogni regione, ogni città e perfino ogni più piccola località hanno prodotto fin dai tempi più remoti una loro ricetta, proposto la loro versione, e molte di queste si sono perpetuate nel tempo fino ai giorni nostri con poche varianti.
Non vi racconteremo di conseguenza, di una cucina aulica di corte, di una cucina signorile o borghese, ma di una cucina povera e popolare, a testimonianza dell’ingegno e dell’arte di arrangiarsi dei nostri rustici antenati. Non sembri cosa biasimevole; chi, volgendo lo sguardo all’indietro di un paio di generazioni, può giurare di non aver avuto fra i suoi ascendenti dei villici, degli eroici lavoratori della terra? Questo è il nostro retaggio, questo è il nostro orgoglio, e chi invece discende da schiatte illustri non ce ne voglia, fa lo stesso. Illustre e nobile non avrebbe potuto essere, senza di noi poveri plebei a fargli da opposto.
E’ possibile che questo discorso sulla trippa e sulle interiora appaia un po’ truce, di questi tempi di sensibilità vegetariane o addirittura vegane, tuttavia l’umanità si ciba di carni, frattaglie comprese, da millenni, ed è stato con ogni probabilità proprio questo consumo proteico e vitaminico, e pure altamente calorico, a consentirle di sopravvivere e progredire. Non è forse vero d’altro canto che Dio nella Bibbia ci ha dato in signoria piante e animali e la natura stessa, affinché potessimo servircene e nutrirci? Ci sono, è vero, religioni e filosofie meno antropocentriche e più “ verdi” di quella cristiana, anche se , assolte le incombenze della nutrizione, non manca in essa un profondo rispetto per la natura vista come opera divina. Verranno tempi vegani? C’è da augurarselo.