Il tema della negazione nelle lingue storico-naturali ha generato una problematica assai complessa: per la rilevanza di questa funzione a molti livelli (pragmatico, testuale, lessicale, sintattico e morfologico), per l’estrema varietà di strategie con cui essa opera nelle diverse lingue, per le sofisticate interazioni che attiva con le altre funzioni ai diversi livelli, per gli effetti di senso, molto differenziati, che, a seconda dei contesti, di volta in volta produce.
Nella storia della riflessione sul linguaggio, questa problematica è stata affrontata secondo molte prospettive in sede filosofica e logica, grammaticale e stilistica. Se per certi aspetti questa riflessione ha portato fin da subito a impostazioni e soluzioni fondamentalmente adeguate e dunque piuttosto stabili (si pensi alla distinzione platonica tra non essere come nulla e non essere come diverso, o alla teoria aristotelica relativa alle opposizioni, in particolare all’opposizione di contraddittorietà, e alla portata inferenziale della negazione nel sillogismo), si devono attendere i contributi logico-linguistici del Novecento per la formulazione di problemi e in certi casi per la scoperta di soluzioni in numerose aree della problematica stessa. Ricordiamo qui in particolare il sottrarsi alla negazione del presupposto in tutte le sue articolazioni, la messa a fuoco del rapporto tra ambito d’azione della negazione e suo effetto di senso, il comportamento sintattico della negazione e le sue varie strategie di manifestazione in diversi sistemi linguistici. Relativamente a questi problemi, la ricerca recente ha dato risultati rilevanti. Vanno in particolare ricordati i contributi di Laurence Horn (soprattutto Natural History of Negation, 1989) e di Giuliano Bernini e Paolo Ramat (La frase negativa nelle lingue d’Europa, 1992). Al primo dobbiamo la trattazione teorica sistematica di molti problemi logico-semantici della negazione, mentre i due studiosi italiani ci offrono soprattutto una ricca tipologia delle strategie di manifestazione della negazione nelle lingue d’Europa.
Nel presente lavoro non ci si è proposti né la ricostruzione della storia della problematica né la trattazione sistematica a livello logico-semantico e morfologico-sintattico. Si è pensato piuttosto di dare il nostro contributo nella messa a fuoco, soprattutto in prospettiva semantica e pragmatica, di alcuni aspetti a nostro giudizio significativi che la tradizione degli studi ha fin qui trascurato o non approfondito sufficientemente.
Dopo un breve capitolo, quasi introduttivo, che punta a far emergere le grandi funzioni della negazione nel linguaggio umano mettendone a fuoco l’universalità, il secondo capitolo tratta la funzione rilevante svolta dalla negazione nella costituzione dei paradigmi semantici (e non solo). Emerge in proposito l’apporto di Aristotele con la sua teoria delle opposizioni che in più sensi anticipa la nozione di paradigma delle scuole strutturaliste.
Il capitolo successivo tratta sotto diverse angolature una categoria acquisita, pur con denominazioni differenti (portata, ambito d’azione, zona di attivazione, argomento, scope), in varie tradizioni di ricerca e risultata decisiva per la risposta a molti problemi. Vengono qui affrontati temi centrali entro la teoria semantica come la distinzione tra negativa totale e parziale e la distinzione tra vertice semantico (rema) e vertice sintattico.
Un ultimo capitolo affronta la querelle che oppone nel dibattito strettamente contemporaneo univocisti e ambiguisti nell’interpretazione dei costrutti negativi, mettendo fra l’altro a fuoco alcune aporie dell’uso che Laurence Horn fa del concetto di negazione metalinguistica. In questa querelle si evidenzia infine il ruolo rilevante e nuovo della soluzione proposta da Jacques Moeschler entro la sua pragmatica procedurale.
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Nella storia della riflessione sul linguaggio, questa problematica è stata affrontata secondo molte prospettive in sede filosofica e logica, grammaticale e stilistica. Se per certi aspetti questa riflessione ha portato fin da subito a impostazioni e soluzioni fondamentalmente adeguate e dunque piuttosto stabili (si pensi alla distinzione platonica tra non essere come nulla e non essere come diverso, o alla teoria aristotelica relativa alle opposizioni, in particolare all’opposizione di contraddittorietà, e alla portata inferenziale della negazione nel sillogismo), si devono attendere i contributi logico-linguistici del Novecento per la formulazione di problemi e in certi casi per la scoperta di soluzioni in numerose aree della problematica stessa. Ricordiamo qui in particolare il sottrarsi alla negazione del presupposto in tutte le sue articolazioni, la messa a fuoco del rapporto tra ambito d’azione della negazione e suo effetto di senso, il comportamento sintattico della negazione e le sue varie strategie di manifestazione in diversi sistemi linguistici. Relativamente a questi problemi, la ricerca recente ha dato risultati rilevanti. Vanno in particolare ricordati i contributi di Laurence Horn (soprattutto Natural History of Negation, 1989) e di Giuliano Bernini e Paolo Ramat (La frase negativa nelle lingue d’Europa, 1992). Al primo dobbiamo la trattazione teorica sistematica di molti problemi logico-semantici della negazione, mentre i due studiosi italiani ci offrono soprattutto una ricca tipologia delle strategie di manifestazione della negazione nelle lingue d’Europa.
Nel presente lavoro non ci si è proposti né la ricostruzione della storia della problematica né la trattazione sistematica a livello logico-semantico e morfologico-sintattico. Si è pensato piuttosto di dare il nostro contributo nella messa a fuoco, soprattutto in prospettiva semantica e pragmatica, di alcuni aspetti a nostro giudizio significativi che la tradizione degli studi ha fin qui trascurato o non approfondito sufficientemente.
Dopo un breve capitolo, quasi introduttivo, che punta a far emergere le grandi funzioni della negazione nel linguaggio umano mettendone a fuoco l’universalità, il secondo capitolo tratta la funzione rilevante svolta dalla negazione nella costituzione dei paradigmi semantici (e non solo). Emerge in proposito l’apporto di Aristotele con la sua teoria delle opposizioni che in più sensi anticipa la nozione di paradigma delle scuole strutturaliste.
Il capitolo successivo tratta sotto diverse angolature una categoria acquisita, pur con denominazioni differenti (portata, ambito d’azione, zona di attivazione, argomento, scope), in varie tradizioni di ricerca e risultata decisiva per la risposta a molti problemi. Vengono qui affrontati temi centrali entro la teoria semantica come la distinzione tra negativa totale e parziale e la distinzione tra vertice semantico (rema) e vertice sintattico.
Un ultimo capitolo affronta la querelle che oppone nel dibattito strettamente contemporaneo univocisti e ambiguisti nell’interpretazione dei costrutti negativi, mettendo fra l’altro a fuoco alcune aporie dell’uso che Laurence Horn fa del concetto di negazione metalinguistica. In questa querelle si evidenzia infine il ruolo rilevante e nuovo della soluzione proposta da Jacques Moeschler entro la sua pragmatica procedurale.
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