Cesare Pavese è diventato un’icona del turismo enogastronomico. Il suo nome, insieme a quello di Fenoglio, viene utilizzato come sostegno per molte presentazioni di quell'eden di cibi e di vini che sono diventate le Langhe. Citazioni tratte dalle sue opere le ritroviamo accostate a ristoranti, vini, tartufi, inserite in tante promozioni turistiche. In buona parte della sua opera c'è un forte radicamento verso quest'area piemontese, che si è manifestato attraverso pagine notissime con rappresentazioni di paesaggi, riti, persone, stagioni di un mondo rurale cosí com'era più di cinquant'anni fa. Pavese pur immerso in questo specifico microcosmo geografico e sociale appare a prima vista carente come narratore delle abitudini alimentari del mondo contadino. Il cibo fa capolino solo in modo occasionale. I suoi personaggi, soli o in compagnia, mangiano, certo, però è pressoché assente una loro precisa caratterizzazione gastronomica. Parrebbe quindi una contraddizione proporlo in questa collana. Ma non è cosí. Una attenta ricognizione delle sue pagine dimostra invece che la presenza del cibo ha un ruolo niente affatto marginale. I riferimenti ai singoli prodotti gastronomici nell'atto, privato e collettivo, del mangiare appartengono sia all'aspetto più realistico dell'opera pavesiana sia al suo sistema simbolico e metaforico. Attraverso una passeggiata su e giù per le sue colline troveremo riferimenti al cibo come specchio della miseria contadina o come occasione per celebrare le feste legate ai raccolti agricoli. Incontreremo pasti poveri fatti di polenta e minestra ma anche banchetti più ricchi con i piatti migliori e più elaborati, che ancora oggi rappresentano la più tipica tradizione. Ma troveremo anche riferimenti gastronomici in relazione a tipiche tematiche pavesiane, quali la solitudine,
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